Quando la Commissione Europea e Olli Rehn parlano di austerità espansiva, lo fanno riferendosi all’esperienza delle economie di Olanda, Danimarca e Svezia negli anni ’80 del XX secolo quando, nel contesto di una generale crescita economica a livello europeo, furono possibili tagli di spesa senza che questi inibissero la produzione di ricchezza. Ciò che però viene omesso è che questi Paesi combinarono i tagli con la svalutazione della propria moneta, aumentando in questo modo la propria competitività internazionale. Oggi, però, le economie dell’eurozona hanno perso la possibilità di svalutare la moneta e, con tutta l’Europa in recessione o in una situazione di bassa crescita, non c’è alcuna uscita dalla crisi attraverso la reciproca austerità. Questa è una risposta alla crisi di stampo pre-Keynesiano: sostiene infatti che l’austerità mette in moto dinamiche capaci di condurre alla crescita nel lungo periodo. Peccato che, citando lo stesso Keynes, nel lungo periodo siamo tutti morti e che, nella situazione attuale, tagliare, tagliare e tagliare ancora senza alcuna controparte in investimenti pubblici volti alla ripresa significa far morire il modello sociale europeo e gli impegni di coesione economica e sociale che costituivano i due pilastri della prima revisione del Trattato di Roma, il Single European Act del 1986.
Ma allora per quale motivo si stanno imponendo tali misure, come ad esempio è stato fatto in Grecia?
La risposta a questa domanda ha a che fare con la storia e con la psicologia. È stato Nietzsche nella sua “Genealogia della Morale” a sottolineare che la parola “debito” in tedesco è la stessa che viene utilizzata per “colpa” e che creditori forti, a vari livelli di consapevolezza, provano piacere nel punire debitori deboli. C’è poi anche il concetto di “identificazione proiettiva”, formulato da Melanie Klein, che consiste nel scindersi da ciò che è buono o cattivo in noi stessi, proiettandolo su altri. Questa è la prima volta dalla Seconda Guerra Mondiale che la Germania è nella posizione di scindersi dal senso di colpa per il Nazismo e l’Olocausto, proiettando tale colpa sul resto dell’Europa. Ma ci sono rischi ben più profondi per la Germania, se il suo governo prosegue nella condotta sin qui adottata. In questo modo, infatti, potrebbe causare la terza disintegrazione dell’Europa in cento anni, una nuova colpevolizzazione della Germania da parte del resto d’Europa e un immeritato nuovo senso di colpa per le giovani generazioni di tedeschi, che apprezzano la cooperazione europea e vogliono vederla funzionare senza che la Germania ne sia padrona.
E per quale motivo Merkel si sta mettendo in una posizione così pericolosa?
Merkel è convinta che l’unica soluzione alla crisi implichi trasferimenti fiscali dai Paesi virtuosi verso i Paesi in deficit, ma si sbaglia. Assieme a Yanis Varoufakis è dal 2010 che suggerisco un modo diverso di vedere il percorso d’uscita dalla crisi. Io non credo che la Germania debba pagare per il debito greco, ma allo stesso tempo non penso che abbia il diritto di imporre la svendita di un intero Paese. La proposta che abbiamo fatto è qualcosa di analogo a quanto proposi già vent’anni fa come consigliere di Jacques Delors, in un report intitolato The European Imperative: Economic and Social Cohesion in the 1990s, pubblicato nel novembre 1993 e nel dicembre dello stesso anno come Libro Bianco di Delors, che sosteneva che l’Europa deve emettere titoli per finanziare investimenti per la coesione sociale ed economica. L’idea è semplice ed è quella di un New Deal europeo.
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Fonte: Occupy Mainstream Media |
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