Per una Grecia che riceve altri 28 miliardi di dollari, c’è un’Islanda che rimborsa 443,4 milioni. Non sarà una grande cifra, ma il versamento effettuato tre giorni fa da Reykjavík verso il Fondo monetario internazionale ha qualcosa di particolare. Primo, perché è avvenuto in anticipo rispetto alle previsioni, come ha spiegato lo stesso Fmi in una nota di pochi minuti fa. Secondo, perché quella che è stata chiamata “La rivoluzione islandese”, cioè il mancato rimborso del debito estero deciso per referendum nazionale nel 2010, è stata più volta indicata dai complottisti come l’unica via d’uscita per Atene.
In realtà, la crisi islandese non è finita. Anzi. È di pochi giorni fa la notizia che Reykjavík sta considerando l’opportunità di adottare una valuta estera, diversa dalla corona islandese. La strada verso la normalità è ancora lunga e occorrono nuovi stimoli economici. Quello che è certo è che il presidente Ólafur Ragnar Grímsson non adotterà mai l’euro. «Troppo instabile, troppo insicuro, non fa per noi, meglio altre idee», ha detto pochi giorni fa. E nel frattempo, faceva partire il rimborso per il maxi prestito del Fmi arrivato dopo l’avvio del piano di sostegno iniziato nel 2008 con 2,1 miliardi di dollari. Non poteva essere altrimenti, dato che collassarono le prime tre banche del Paese - Landsbanki, Glitnir, Kaupthing - equivalenti all’85% del mercato bancario nazionale. Adesso i debiti con Washington sono ridotti a 1,6 miliardi di dollari e, nelle previsioni del Fondo, saranno ripagati entro il 2016, in linea con le previsioni.
L’Islanda ha seguito alla lettera le raccomandazioni dell’istituzione di Washington e ora è tornata a vedere un barlume di luce in fondo al tunnel della crisi bancaria in cui era piombata. Tutto il contrario della Grecia, che stando alle ultime previsioni del Fmi, potrebbe tornare sui mercati obbligazionari solo nel 2015. Una visione ottimista della situazione, dato che sarebbero già in corso i negoziati per il terzo piano di salvataggio di Atene. Non vanno però confuse le due crisi, tanto pesanti quanto profondamente diverse. Col senno di poi verrebbe da dire che l’Islanda ha fatto bene a non rimborsare il debito di Icesave, ma la situazione dei Paesi dell’Europa mediterranea è ben più intricata. E non si può pensare di risolvere con un rifiuto.
L'articolo originale su Linkiesta.
Uno scatto di Giulia Bondi |
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