"I nostri sforzi saranno indirizzati a risanare la situazione finanziaria, a riprendere il cammino della crescita in un quadro di accresciuta attenzione all'equità sociale. Lo dobbiamo ai nostri figli. Dobbiamo dare loro un futuro concreto di dignità e di speranza".
Le parole sono di Mario Monti. Sono quelle pronunciate a novembre 2011, quando in diretta Tv il premier tracciava con chiarezza gli obiettivi del governo che si apprestava a guidare. I neretti, invece, li abbiamo messi noi, per evidenziare quanto fosse socialdemocratico, ancor prima che liberale (nelle intenzioni) il sentiero che superMario si apprestava a percorrere. Ma è andata davvero così? La natura strutturale delle riforme messe in campo non permette di giudicare oggi la ricaduta a medio termine sul Paese. C'è bisogno di tempo. Così sarà anche per i super-obiettivi del Consiglio dei Ministri previsto per domani. Bisognerà attendere gli effetti. Certo, fa sorridere l'idea che il governo pensi di azzerare il digital divide entro il 2013, al punto che sorge il dubbio che si tratti della consueta forzatura giornalistica. Non ci si è riusciti negli ultimi 15 anni, figuriamoci in pochi mesi.
L'eredità che Monti può lasciare a questo paese, proprio per raggiungere gli obiettivi della dichiarazione di novembre - è quello di un'ossatura economico-finanziaria più robusta, per affrontare l'aria grama che ci attende. Il premier, con un certo azzardo, rilascia le prime dichiarazioni di "crisi quasi finita", ma per ora i segnali sono di tutt'altro tenore. Lo spread, per capirci, sino ad ora ha dimostrato un andamento del tutto impermeabile sia al colore della guida di Palazzo Chigi, sia alle riforme messe in campo. L'export, d'altro canto, è in aumento. Si, è un parametro che garantisce ossigeno e liquidità, ma è anche l'indicatore più evidente della svalutazione dell'Euro, l'unico collante della traballante economia della vecchia Europa.
Difficile, insomma, trovare ragioni per l'ottimismo. Bisogna avere fiducia, mettiamola così. Ma bisogna averne davvero in grande quantità, anche perché, a breve, saremo chiamati a votare e tutto tornerà nelle mani della politica. Il pre-accordo sulla nuova legge elettorale dimostra che avremo di nuovo un parlamento di nominati, non di eletti. E tentativo di Monti di "...riprendere il cammino della crescita in un quadro di accresciuta attenzione all'equità sociale..." rischia di rimanere una delle tante buone intenzioni rimaste al palo.
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