mercoledì 30 novembre 2011

Il paradigma cileno

Da Repubblica del 29 novembre 2011, un articolo dello scrittore e giornalista venezuelano Moisés Naìm sulla protesta degli indignados in Cile, paese dove da mesi infiamma una durissima rivolta studentesca. Secondo Naìm, "capire quello che sta succedendo in Cile offre indizi utili per capire l'ondata di indignazione e proteste a cui stiamo assistendo in altre aree del pianeta".

Santiago de Chile Protest .


Sarebbe sorprendente se per le strade di Atene, Madrid o New York le proteste non ci fossero. La disoccupazione e la precarietà economica basterebbero a convertire milioni di rassegnati in milioni di indignati. Ma constatare che alcuni dei responsabili della crisi ora ci stanno guadagnando sopra produce una reazione umana quasi naturale: spegnere la tivù e scendere in piazza a protestare. Questo è facile da capire. Meno facile è capire perché la stessa cosa stia succedendo in Cile. E che importanza ha se le piazze si infiammano in Cile? In fondo è un piccolo e remoto Paese del Sudamerica e quello che succede laggiù non influenza molto il resto del mondo. È vero, ma capire quello che sta succedendo in Cile offre indizi utili per capire l'ondata di indignazione e proteste a cui stiamo assistendo in altre aree del pianeta.


I cileni avrebbero ragioni per festeggiare, non per protestare: il loro è uno dei Paesi di maggior successo al mondo. Alla fine degli anni Ottanta, il 45 per cento della popolazione era povero, oggi la percentuale è del 14 per cento. Vent´anni di crescita economica accelerata, l´aumento dell´occupazione e dei salari hanno contribuito al progresso sociale. Per di più l´inflazione, che colpisce sempre più i poveri che i ricchi, è precipitata dal 27 per cento annuo del 1990 al 3 per cento. Qualunque Paese europeo guarderebbe con invidia alle cifre dell´economia cilena. E in quasi tutte le classifiche tra nazioni il Cile si colloca ai primi posti (ed è sempre il primo tra i Paesi dell´America Latina): bassi livelli di corruzione, alti livelli di sviluppo umano, competitività, libertà economica, «connettività» e tanto altro. Eppure…

Sono mesi ormai che ci sono proteste nelle piazze. Sono esplose durante il governo precedente, quello guidato da Michelle Bachelet, e dopo le elezioni – vinte dall´opposizione – sono proseguite con il nuovo esecutivo. Tutto è partito da una protesta specifica, contro la costruzione di una diga, poi il malcontento è cresciuto di intensità, con manifestazioni di massa contro la bassa qualità e il costo elevato dell´istruzione.
In occasione di una mia recente visita al Cile ho avuto l´opportunità di chiedere al presidente Sebastián Piñera la sua opinione su questo paradosso di un successo economico accompagnato da un malessere sociale. «Io comprendo le motivazioni degli studenti che protestano», mi ha detto Piñera. «Il Cile si è concentrato sull´incrementare a ritmo sostenuto l´accesso all´istruzione, trascurando la qualità. C´è anche un problema di costi dell´istruzione, che in proporzione dovrebbero essere coperti dallo Stato». Piñera ha aumentato in modo sostanzioso i fondi per l´istruzione e sta cercando di riformare il sistema scolastico.

Il presidente però è cosciente che il malessere dei cileni va al di là del problema dell'istruzione. E ha ragione: secondo Latinobarometro, una società di inchieste di opinione, il Cile è il Paese dell´America Latina dove più è calata la percezione di progresso da parte dei cittadini. È anche il Paese dove più è calata la soddisfazione per il funzionamento della democrazia, e c´è una sensibile diminuzione del consenso per il «modello economico» cileno. Come si spiega tutto questo?

Ovviamente la situazione è determinata dalla storia, dalle lotte politiche e dalle personalità dei protagonisti, ma ci sono due fattori che risultano evidenti: l´aumento della classe media e la disuguaglianza economica. L´espansione della classe media produce esigenze a cui generalmente i governi non sono in grado di rispondere con la velocità o la scioltezza necessarie. Costruire una scuola o un ospedale è più semplice che migliorare la qualità dell´istruzione o della sanità. E la nuova classe media, giustamente, si aspetta che questi miglioramenti ci siano. E in fretta. Ho avuto uno scambio di opinioni con uno studente cileno che prende parte alle proteste e che è stato molto indicativo: «La mia famiglia è sempre stata povera, e ora siamo classe media. Ma il governo non fa più nulla per noi, pensa ad aiutare i più poveri o i più ricchi, gli investitori. E nulla per noi, quelli che stanno in mezzo».

È una questione di iniquità. Anche se sta diminuendo, il Cile ha un tasso di disuguaglianza economica elevatissimo. E questo tema ha fatto la sua comparsa in tutte le conversazioni che ho avuto durante la mia visita. È evidente che in Cile, come in altre parti del mondo, la coesistenza pacifica con disuguaglianza è un fenomeno del passato. Ora ridurre più rapidamente la disuguaglianza è diventata una priorità, grazie agli studenti che hanno imposto il problema all´attenzione dell´opinione pubblica, e il Paese deve essere loro riconoscente per questo.

Rimane da vedere se il governo, gli studenti e il resto della società cilena riusciranno a introdurre misure che limitino la disuguaglianza economica senza nuocere alle altre conquiste del Paese. Anche altre nazioni dovranno misurarsi con la stessa sfida; e chissà che anche da questo punto di vista il Cile non finisca per avere alcuni insegnamenti utili da offrire al resto del mondo. (Traduzione di Fabio Galimberti).

Da La Repubblica del 29/11/2011.

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