venerdì 23 dicembre 2011

In un documentario la storia degli indignados

Nicola Lillo, su Il Fatto Quotidiano, recensisce "Rimetti a noi i nostri debiti":

La lotta del 99% degli abitanti del pianeta contro quell’1% della popolazione che detiene il potere economico finanziario a livello planetario, “fedele ad un unico dio, il denaro”. È questo che gli Indignados professano da mesi in tanti paesi, aggiungendo tratti locali alla protesta, come in Italia, dove l’antiberlusconismo è stato il vero collante. E sono loro i protagonisti del docufilm Rimetti a noi i nostri debiti (trailer), sul movimento che da alcuni mesi sostiene che il debito contratto dagli Stati si debba a una precisa responsabilità di banche, istituzioni finanziarie e politica.

Le Officine Tolau, formate da Stefano Aurighi, Davide Lombardi e Paolo Tomassone, hanno presentato in anteprima alla stampa il loro documentario. Dopo “Occupiamo l’Emilia”, film-inchiesta sull’avanzata della Lega Nord nella regione rossa per eccellenza e “A furor di popolo”, il documentario sul Movimento 5 stelle di Beppe Grillo, un nuovo lavoro commissionato dal Forum Nuovi Linguaggi e Nuove Culture del Partito Democratico, di cui è responsabile Pippo Civati, consigliere regionale Pd della Lombardia e membro della segreteria nazionale Pd. “Un viaggio dentro il movimento, che parte dalla manifestazione di Roma dello scorso 15 ottobre e che si allarga al contesto internazionale, analizzando gli sviluppi più recenti e indicando ipotesi di scenari possibili per il futuro” dicono i giornalisti, che a gennaio 2012 presenteranno la prima nazionale proprio con Civati e Stefano Bonaccini, segretario regionale Pd dell’Emilia Romagna.

Leggi tutto l'articolo su Il Fatto.

Indignati ancora

La cantautrice romana Nina Monti ha scritto una canzone per il movimento degli indignados. Tutta da ascoltare.

giovedì 22 dicembre 2011

Gli indignados sono un film. La recensione di Repubblica.it

Su Repubblica Bologna, Eva Pedrelli recensisce "Rimetti a noi i nostri debiti".

“Rimetti a noi i nostri debiti” da voce ai “contestatori”, che il Time ha definito “persone dell’anno 2011” e a cui ha dedicato la prestigiosa copertina. Realizzato dalle Officine Tolau, su commissione del Forum Nuovi linguaggi e Culture del Pd, il docu-film si concentra sul movimento degli indignados e sulle ragioni dietro alle proteste che dalla Puerta del Sol di Madrid si sono sparse quest’anno a macchia d’olio in tutto il pianeta; e soprattutto, sui motivi dell’indignazione di quei cittadini che non si sentono più rispettati né rappresentati dalle istituzioni.

Leggi tutto l'articolo su Repubblica.it
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Il trailer del film che sarà disponibile online da gennaio 2012.



Il richiamo al trailer è anche sulla homepage di Repubblica.it

mercoledì 21 dicembre 2011

Rimetti a noi i nostri debiti - il trailer ufficiale

Quella degli Indignados è una rivolta destinata a spegnersi o è davvero l’inizio della prima rivoluzione globale? Gli “indignati” italiani sembrano non avere dubbi e, dalle vie di Roma in cui hanno manifestato il 15 ottobre 2011, urlano: “La rivoluzione è già iniziata. Quello che vedete è solo un milionesimo di quello che potrà succedere”. Prende il via da questa testimonianza “Rimetti a noi i nostri debiti”, il nuovo docu-film delle Officine Tolau che racconta il movimento degli Indignados.

Il film, commissionato dal Forum Nuovi Linguaggi e Nuove Culture del Partito Democratico, di cui è responsabile Pippo Civati – consigliere regionale Pd della Lombardia e membro della segreteria nazionale Pd - è un viaggio dentro il movimento, che parte dalla manifestazione di Roma dello scorso 15 ottobre e che si allarga al contesto internazionale, analizzando gli sviluppi più recenti e indicando ipotesi di scenari possibili per il futuro.

Il film integrale sarà disponibile online da gennaio 2012
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Occupy Wall Street: il libro del movimento

La scorsa settimana è stato presentato a New York il libro "Occupying Wall Street", sottotitolo ‘The Inside Story of an Action that Changed America’. Ne parla su E-il mensile Luca Galassi, che scrive: "E’ noto che il movimento ripudia la leadership e il protagonismo. Per questo motivo la narrazione è stata affidata alla firma collettiva ‘scrittori per il 99%’. Il volume è basato su una serie di interviste, assemblee e dibattiti fra i manifestanti, e include una ‘guida all’occupazione’.

Nell’elaborazione di Occupying Wall Street si è pensato bene di attenersi ai principi che reggono il movimento: struttura orizzontale, decisioni collettive, distribuzione dei proventi delle vendite al movimento. Colin Robinson, raccontano i cronisti, aveva un sorriso perpetuo, sabato scorso a Piazza Duarte: era consapevole di aver realizzato un’impresa: far raccontare il movimento in forma collettiva per voce dei suoi protagonisti, gente tra i venti e i cinquanta, alcuni dei quali si erano parlati esclusivamente via internet. Come risultato, oltre cento interviste, ritratti, racconti e disegni di persone del movimento o collegate ad esso.

Anche il mondo editoriale ha risposto prontamente: Feltrinelli è uno dei primi ad essersi accaparrato i diritti per l’Italia".

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sabato 17 dicembre 2011

Il caso non è chiuso

Giovanni Tizian è un giovane giornalista di origini calabresi, ma trapiantato da anni a Modena (e prossimo a salire ancora più a nord, direzione Torino, dove lavorerà per il mensile Narcomafie). Dopo essersi occupato a lungo di criminalità organizzata sulle pagine della Gazzetta di Modena e varie altre testate su carta e online, da pochissimo ha pubblicato per i tipi di Round Robin il volume "Gotica, (’ndrangheta, mafia e camorra oltrepassano la linea)", un'approfondita inchiesta giornalistica sul radicamento di mafia, camorra e 'ndrangheta "oltre la linea Gotica", insomma: al nord. Lo abbiamo incontrato in un gelido pomeriggio di dicembre al Parco della Resistenza di Modena, un luogo che non avrebbe potuto essere più simbolico per una storia come quella di Giovanni, segnata dalle origini dalla violenza del potere criminale, ma anche dal riscatto di chi ha scelto di non piegarsi a quella violenza contrastandola attraverso uno strumento nobile come quello del giornalismo d'inchiesta.

Dall'incontro è nata una lunga chiacchierata raccolta nel video che segue, che ripercorre la vicenda personale (intrecciata indissolubilmente con quella professionale) di Giovanni: una vicenda che è emblema e simbolo di un Paese migliore, di un'Italia forte e determinata che sulla dignità e il coraggio fonda la propria voglia di riemergere dal fango in cui il crimine, punta dell'iceberg di tutto ciò che è malaffare qui da noi, vorrebbe costantemente spingerla.
Nell'interesse di pochi, a danno dei molti.






giovedì 15 dicembre 2011

Uno spettro si aggira per il web

Tra i riferimenti culturali del movimento degli indignados c'è anche il celebre discorso all'umanità del finale de "Il Grande Dittatore" di Charlie Chaplin.
Qui sotto lo spezzone del film elaborato in versione Occupy e, a seguire, la traduzione in italiano.




Mi dispiace, ma io non voglio fare l'Imperatore, non è il mio mestiere. Non voglio governare, né conquistare nessuno. Vorrei aiutare tutti se possibile: ebrei, ariani, neri o bianchi.

Noi tutti vogliamo aiutarci vicendevolmente. Gli esseri umani sono fatti così. Vogliamo vivere della reciproca felicità, ma non della reciproca infelicità. Non vogliamo odiarci e disprezzarci l'un l'altro. In questo mondo c'è posto per tutti, la natura è ricca ed è sufficiente per tutti noi. La vita può essere felice e magnifica, ma noi l'abbiamo dimenticato. L'avidità ha avvelenato i nostri cuori, ha chiuso il mondo dietro una barricata di odio, ci ha fatto marciare, col passo dell'oca, verso l'infelicità e lo spargimento di sangue.
Abbiamo aumentato la velocità, ma ci siamo chiusi in noi stessi. Le macchine che danno l'abbondanza ci hanno dato povertà, la scienza ci ha trasformato in cinici, l'abilità ci ha resi duri e spietati. Pensiamo troppo e sentiamo troppo poco. Più che di macchine abbiamo bisogno di umanità. Più che d'intelligenza abbiamo bisogno di dolcezza e di bontà. Senza queste doti la vita sarà violenta e tutto andrà perduto.

L'aviazione e la radio hanno ravvicinato le genti: la natura stessa di queste invenzioni reclama la bontà dell'uomo, reclama la fratellanza universale, l'unione dell'umanità. La mia voce raggiunge milioni di persone in ogni parte del mondo, milioni di uomini, donne e bambini disperati, vittime di un sistema che costringe l'uomo a torturare e imprigionare gente innocente.

A quanti possono udirmi io dico: non disperate. L'infelicità che ci ha colpito non è che un effetto dell'ingordigia umana: l'amarezza di coloro che temono le vie del progresso umano. L'odio degli uomini passerà, i dittatori moriranno e il potere che hanno strappato al mondo ritornerà al popolo. Qualunque mezzo usino, la libertà non può essere soppressa.

Soldati! Non consegnatevi a questi bruti che vi disprezzano, che vi riducono in schiavitù, che irreggimentano la vostra vita, vi dicono quello che dovete fare, quello che dovete pensare e sentire! Non vi consegnate a questa gente senz'anima, uomini-macchina, con una macchina al posto del cervello e una macchina al posto del cuore!

Voi non siete delle macchine! Siete degli uomini! Con in cuore l'amore per l'umanità! Non odiate! Sono quelli che non hanno l'amore per gli altri che lo fanno.
Soldati! Non combattete per la schiavitù! Battetevi per la libertà! Nel diciassettesimo capitolo di san Luca sta scritto che il regno di Dio è nel cuore degli uomini.
Non di un solo uomo, non di un gruppo di uomini, ma di tutti voi. Voi, il popolo, avete il potere di creare le macchine, di creare la felicità, voi avete la forza di fare che la vita sia una splendida avventura. Quindi in nome della democrazia, usiamo questa forza, uniamoci tutti e combattiamo per un mondo nuovo che sia migliore, che dia agli uomini la possibilità di lavorare, ai giovani un futuro, ai vecchi la sicurezza.

Promettendo queste cose i bruti sono saliti al potere. Mentivano: non hanno mantenuto quella promessa e mai lo faranno. I dittatori forse sono liberi perché rendono schiavo il popolo, allora combattiamo per quelle promesse, combattiamo per liberare il mondo eliminando confini e barriere, l'avidità, l'odio e l'intolleranza, combattiamo per un mondo ragionevole, un mondo in cui la scienza e il progresso diano a tutti gli uomini il benessere.
Soldati uniamoci in nome della democrazia!

Fonte: Occuprint

No fight, no party

Abbiamo superato l'apice, il punto più alto della prima fase di questo movimento. Ma questo movimento è essenzialmente un'idea, ha radicalizzato milioni di giovani nel mondo interno attorno a una presa di coscienza: che i conti del futuro non tornano, non quadrano né dal punto di vista socio-economico, né dal punto di vista ambientale. Di fatto questa generazione si rende conto che se non si mobilita, se non combatte, non avrà proprio alcun futuro.

Federico Rampini su Repubblica di oggi, intervista Kalle Lasn, storico fondatore della rivista Adbusters (già sulle barricate ai tempi dei No-global), e tra gli iniziatori del movimento Occupy Wall Street.

La pagina Inchieste di Repubblica dedicata a OWS

mercoledì 14 dicembre 2011

Il contestatore conquista la copertina

La copertina del celebre settimanale americano Time, che ha nominato the protester, il contestatore, person of the year 2011 (qui, l'articolo che spiega la scelta).
Quasi una evoluzione della "persona dell'anno 2006", quel YOU che rappresentava tutte le persone in grado di dare, grazie al web, alla propria presenza individuale una dimensione globale. Una celebrazione dell'User generated, dei contenuti generati dagli utenti, che rendevano questi ultimi protagonisti, non comprimari, nell'uso e nell'evoluzione della rete ormai definita web 2.0. Mettiamola così: a distanza di 5 anni da allora, quegli stessi si sono un po' incazzati. Quella massa fluida è stufa di "generare realtà" mentre a trarne i benefici sono sempre le solite oligarchie al potere, finanziario o politico. E il contenuto generato per il 2011 si chiama "protesta".


Tutte le 85 copertine di fine anno della rivista dal 1927: con Stalin, Gandhi, Jeff Bezos, Hitler, Tu, due Papi, alcuni dimenticati e Zuckerberg.

martedì 13 dicembre 2011

Tutte le proteste del mondo

Il Guardian pubblica una mappa interattiva delle varie città del mondo in cui è attivo il movimento Occupy. Da navigare qui.

venerdì 9 dicembre 2011

Il duello delle nuvole parlanti (nel nome di OWS)

Alan Moore, sceneggiatore e coautore insieme al fumettista David Lloyd del celeberrimo "V per Vendetta" ha deciso di offrire un po' di più che una maschera - quella dei Guy Fawkes - ad Occupy Wall Street. Come ha riportato Wired, Moore ha infatti annunciato la sua partecipazione al progetto Occupy Comics - sorta di appello ai fumettisti di tutto il mondo, unitevi (a sostegno del movimento) - presente anche su Kickstarter, il social network che si autodefinisce "la più grande piattaforma al mondo per la raccolta di fondi per progetti creativi".

Moore scriverà una lunga storia - ancora da capire se e chi la disegnerà (Lloyd è già tra gli aderenti di Occupy Comics) - che"esplorerà i principi di Occupy Wall Street e insieme, il controllo delle corporation sull'industria del fumetto".

La notizia segue di qualche settimana la tirata di un altro idolo del fumetto mondiale, Frank Miller (autore dello stracult Sin City) che sul suo blog aveva pesantemente attaccato OWS definendo gli attivisti una "banda di teppisti, ladri, stupratori, una teppa che si richiama alla nostalgia dell’epoca di Woodstock e alla falsa superiorità morale che si agitava in quell’epoca. Questi buffoni possono fare solo danno all’America". Beccandosi a più riprese, negli oltre 10.000 commenti al post, l'appellativo di "fascista". E da Moore del "misogeno, omofobico e insomma, uno completamente fuori di testa".

A fregarsene altamente della querelle tra i due mostri sacri del fumetto mondiale, e a fregarsi le mani per l'esplosione della protesta dei vari Occupy, è probabilmente la Time Warner, che della maschera beffarda di Guy Fawkes - simbolo globale della rivolta - possiede i diritti: secondo le stime di IL (mensile de Il Sole 24 Ore), la multinazionale, in questi ultimi tempi, ha già guadagnato 28 milioni di dollari, visto che per ogni maschera venduta (100mila negli ultimi mesi) si paga una tassa.

A sinistra, Alan Moore, a destra, Frank Miller

martedì 6 dicembre 2011

Manifesto della rivolta degli indignados

Su Actualutte, la Dichiarazione di sovranità popolare elaborata nell'ottobre scorso. Di seguito la traduzione in italiano:

Noi, popolo del mondo, riuniti nell'Assemblea Continentale di Bruxelles (ottobre 2011), dichiariamo quanto segue:

Più volte nella storia dell'umanità, la società si è confrontata con la necessità di cambiamenti, ma mai, fino ad ora, questo cambiamento è stato tanto imperativo quanto lo è oggi.

La nostra società, così come è oggi, è insostenibile. Lo sfruttamento vorace delle risorse naturali e degli esseri umani hanno creato profonde ineguaglianze: di ricchezza, di libertà e di opportunità per le diverse popolazioni del pianeta. Ciò ha prodotto conflitti e condannato una grande parte dell'umanità alla povertà e alla fame. Ha inquinato i nostri fiumi, le nostre terre, l'aria fino allo spazio e ha prodotto un pericoloso cambiamento climatico. E tutto questo solo per l'interesse e il beneficio di qualcuno, di pochissimi.

Noi accusiamo la cultura di avarizia.
Noi accusiamo l'economia dei rifiuti.
Noi accusiamo l'esistenza delle frontiere.
Noi accusiamo il sistema finanziario globale (e tutte le imprese e le istituzioni che lo sostengono) di essere responsabile del deterioramento del nostro pianeta e della maggioranza delle specie che lo abitano.
Noi l'accusiamo di mettere un'ingiusta ipoteca sulle vite dei nostri figli.
Noi l'accusiamo di mettere in pericolo la sopravvivenza della specie umana.
Noi, la gente, esigiamo un mondo sostenibile e abbiamo fede nella capacità umana di raggiungerlo.
Noi esigiamo un mondo nel quale gli individui e le comunità possano essere autosufficienti nelle loro necessità primarie, acqua, alimenti ed energia.
Noi esigiamo che ogni persona possa utilizzare i suoi talenti per il proprio beneficio personale e nell'interesse della società intera.

Noi crediamo nel talento umano.
Noi crediamo a un uso della tecnologia a fini pacifici e per il bene comune.
Noi crediamo nel libero scambio delle informazioni e del sapere.
Noi crediamo al libero accesso all'eredità culturale dell'Umanità.
Noi crediamo che i valori umani non si possano esprimere in termini economici.
Noi, il popolo, reclamiamo il nostro diritto alla vita.
Noi, il popolo, reclamiamo il nostro diritto alla libertà.
Noi, il popolo, reclamiamo il nostro diritto alla ricerca della felicità.
L'attuale forma di governo è diventata distruttrice di questi principi e dunque è nostro diritto, nostro obbligo, di riformarla o abolirla
Noi, il popolo, reclamiamo la sovranità popolare.

Noi, facciamo appello a tutte le persone del mondo:
  • a resistere pacificamente attraverso la disobbedienza civile
  • a occupare gli spazi pubblici
  • a riunirsi in assemblea
  • a partecipare al governo
  • a liberare la creatività di ogni individuo e a utilizzare la nostra intelligenza collettiva per affermare le basi del mondo che vogliamo per noi e la nostra discendenza.
Noi siamo il popolo.
Noi abbiamo la forza per raggiungere il nostro obiettivo.


Arrivarci tardi, arrivarci tutti (anche i ricercatori)

Il Post segnala che presto saranno resi noti i risultati di una ricerca del Guardian e della London School of Economics sui disordini di Londra dal 6 al 10 agosto scorsi e anticipa: "Dalla ricerca emerge un dato su tutti: la maggior parte dei giovani ha deciso di partecipare alle sommosse per la loro forte ostilità nei confronti della polizia".
Ma che sorpresa!

La notizia, secondo me, deve farci riflettere sul fatto che spesso alcune ricerche sociologiche non fanno altro che confermare delle ovvietà talmente lapalissiane da rendere inutili le stesse ricerche. Quel che questi ricercatori dicono dopo "l'analisi delle testimonianze di 270 persone che hanno partecipato alle sommosse di Londra, Birmingham, Liverpool, Nottingham, Manchester e Salford e l'analisi di 2,5 milioni di milioni di messaggi su Twitter, ottenendo una quantità di dati e informazioni senza precedenti per studiare il fenomeno", il buon Nichi Vendola lo diceva in due righe il giorno dopo i fatti di Roma, senza scomodare le società di analisi e ricerca: "Il blocco nero coinvolge frammenti di antagonismo e di estrema destra sociale, mescolando vaghi miti ideologici con pratiche da guerriglia metropolitana e di semplice gangsterismo. La palestra ideologica e il luogo concreto di reclutamento sono le curve degli stadi. Quanto al programma politico, diciamo così, è piuttosto rozzo: dagli allo sbirro".
Si, si, è vero, i black bloc che hanno fatto tutto quel casino a Roma non sono assimilabili al 100% ai teppisti che hanno messo a ferro e fuoco Londra, ma il nocciolo duro di quelli che hanno fatto i veri guai erano propri i soliti incappucciati. E ce l'avevano soprattutto con la Polizia. Sai che novità.

lunedì 5 dicembre 2011

Non portate che la vostra collera

Sono tempi duri per l'Irlanda investita ormai da due anni abbondanti da una gravissima crisi alla quale l'ex tigre celtica sta cercando di rispondere secondo le ricette proposte da UE, BCE e FMI caratterizzate da un rigidissimo piano di austerity.

Ora, secondo l'Ocse, l'isola sarebbe oggi al di là del guado, ormai avviata a un risanamento dei conti pubblici (a prezzo di tagli al welfare e al costo del lavoro, agli investimenti sulle infrastrutture).

Ma anche nel prossimo futuro sulla testa degli irlandesi peseranno i debiti contratti per il salvataggio delle varie banche a rischio fallimento dopo i golden ages segnati da un'allegra gestione del credito: degli 85 miliardi messi a disposizione a fine 2010 all'Irlanda da UE e FMI, ben 35 sono stati destinati alla ricapitalizzazione delle varie Allied Irish Bank, Bank of Ireland, Irish life & Permanent.

Oltre a ciò, da qui a fine anno scadranno diversi termini di pagamento di obbligazioni di chi aveva investito sulle varie banche in passato, solo che a pagare per la scelleratezza degli incauti acquirenti sarà ancora una volta Pantalone: i cittadini irlandesi. Insomma, anche nella verde Irlanda la storia è sempre quella: il profitto è sempre privato, il passivo sempre pubblico.

"Dublino - scriveva sul Sole nel marzo scorso Vittorio Da Rold - dovrebbe fare come l'Islanda (non membro Ue) che, capita la lezione, a un certo punto decise di ristrutturare i senior bond (cioè non garantirli più ma fare un haircut, un taglio di capelli su capitale e rendimenti). Insomma di non metterli tutti sulle spalle dello stato, ma facendo pagare le perdite agli obbligazionisti e agli azionisti delle banche mal gestite. Ma non andrà così, chi ha giocato sul moral hazard, sull'azzardo morale, avrà ancora una volta partita vinta". Infatti.

Di recente, il cosiddetto "Billion dollar bond" (738 607 000 euro) che i cittadini sono stati obbligati a pagare all'Anglo Irish Bank per le proprie obbligazioni non garantite ha suscitato l'indignazione del Paese. Insomma, materia per la lotta di Occupy Dublin ce n'è eccome.

Ma piccole e grandi proteste fioriscono ovunque: a Ballyhea, minuscolo villaggio di circa 1.000 abitanti nella contea di Cork, in molti partecipano a una marcia silenziosa contro coloro che hanno spinto il Paese verso la recessione. Una marcia che si ripete ogni domenica, da otto mesi. Come racconta Actualutte, il quindicinale francese d'informazione "indipendente e partecipativa".

I villains (qui la pagina facebook della loro protesta) si ritrovano dopo la messa di fronte al parcheggio della chiesa, e poi sfilano in silenzio arrivando fino al cartello di limitazione della velocità appena fuori il paesello. Poi tutti a casa.

Un solo slogan: "Ballyhea dice no al salvataggio dei detentori di obbligazioni".
Poche parole, ma chiare.
Come quando iniziò la protesta, otto mesi fa appunto, dove l'invito alla partecipazione era accompagnato da un chiarissimo: "non portate niente con voi: né slogan né bandiere, solo la vostra collera".

Fonte immagine: Ballyhea bondholder bailout protest

domenica 4 dicembre 2011

Parola di Sugo!

(Foto: Ahmed Jadallah/Reuters)


«Eravamo arrivati a un punto di non ritorno. Va detto però che oggi c'è una maggiore cultura di base: tra noi, quelli che avevano studiato erano veramente pochi. Ma c'erano una morale e un'onestà fuori dal comune. Cosa che oggi vedo molto meno. C'era un senso di insofferenza verso le ingiustizie che oggi non ritrovo più. Almeno non così forte. Io dico che se allora i governanti avessero fatto quello che si permettono di fare oggi, gli sarebbe toccato scappare il giorno dopo. Loro e la loro famiglia. Parola di Sugo!»

E per Sugo s'intende Marcello Citano, nato il 3 dicembre 1926 a Firenze. Ha fatto parte della brigata "Senigallia" e questo era il suo nome di battaglia.

La sua storia di partigiano combattente (che è contenuta nel libro "Ribelli" di Domenico Guarino e Chiara Brilli ed. Infinito, 2011) in alcuni momenti ricorda quella degli indignados. O almeno ricorda quelli che dovrebbero essere gli intenti e la "molla che fa scattare" la rivolta degli indignados.
Soprattutto in questo passaggio:

«Quando il livello delle ingiustizie e delle disuguaglianze arriva al punto in cui siamo oggi - racconta ancora il Sugo - è normale vedere nei giovani una gran voglia di combattere questo sistema che li ha traditi e sta rubando i migliori anni della loro vita. D'altro canto è pur vero che senza i partiti, senza un'organizzazione solida, non si realizza un vero cambiamento. La nostra lotta ebbe successo anche perché avevamo un'organizzazione che, in gran parte, per quel che mi riguarda, era data dal Partito comunista. Oggi non è più così. Certo, le condizioni erano diverse, perché noi uscivamo dalla guerra, dalla distruzione che questa aveva determinato anche a livello morale, psicologico, per cui allora la ribellione per un certo verso era più semplice».

Prima di andare ad intervistare per il doc. "Rimetti a noi i nostri debiti" Loretta Napoleoni a Milano, mi sono chiesto "ma cosa studiano gli indignados? come ci si forma a diventare indignati?".
«Da mesi ci ripetono che alla radice della crisi attuale ci sono gli speculatori. A loro si attribuisce tutta la responsabilità del cataclisma finanziario ed economico che incombe sul capitalismo occidentale - ha scritto Napoleoni nella sua appendice all'ultimo libro "Il contagio" -. Ma gli Indignati europei, americani, africani, mediorientali e tutti coloro che hanno abbracciato il movimento di protesta puntano invece il dito contro la classe politica e le élite al potere: è il loro modello economico squilibrato che non funziona più».

Allora mi viene in mentre la frase di don Milani "niente è più ingiusto che far parti uguali tra disuguali" in Lettera ad una professoressa che è stata ripresa successivamente da un altro partigiano, Ermanno Gorrieri, nei suoi studi sociali. Che in tema di "pensioni" e "patrimoniale" torna anche d'attualità.

venerdì 2 dicembre 2011

Masters of the world

Una ricerca scientifica di tre studiosi di Sistemi complessi dell'Istituto federale svizzero di Tecnologia di Zurigo su 43.000 multinazionali e le relazioni societarie e finanziarie che intercorrono tra queste, dimostra che l'economia mondiale è iperconcentrata: 147 società globali (la totalità del capitale di ciascuna è detenuta dagli altri membri di questa "super-entità") controllano il 40% della ricchezza totale dell'intera rete. E la maggior parte di queste 147 sono banche che hanno così un'influenza sproporzionata sull'economia mondiale.

Insomma - come riporta nel pezzo di presentazione della ricerca il Courrier International - "l'idea che un pugno di banchieri controllino vasti settori dell'economia mondiale" è del tutto vera, e dimostrabile scientificamente.

Qui sotto la top ten dei masters of the world evidenziati dalla ricerca:

1 - Barclays PLC (banca, Regno Unito)
2 - Capital Group Companies Inc. (Fondo pensionistico, Stati Uniti)
3 - FMR Corporation (Servizi finanziari, Stati Uniti)
4 - AXA (banca di assicurazione, Francia)
5 - State Street Corporation (Servizi finanziari, Stati Uniti)
6 - JPMorgan Chase & Co (banca, Stati Uniti)
7 - Legal & General Group PLC (Gestione del risparmio, Regno Unito)
8 - Vanguard Group Inc (Gestore di investimenti, Stati Uniti)
9 - UBS AG (banca, Svizzera)
10 - Merrill Lynch & Co Inc (banca, Stati Uniti) 

Fonte immagine: Occupy Wall Street

Il 2012 sarà un nuovo '68?

E' quello che si chiede in un lungo reportage (qui in pdf) il New York Magazine, che sottolinea come la ritirata dei vari Occupy probabilmente sarà solo temporanea: la protesta potrebbe riesplodere ancora più violenta l'anno prossimo favorita anche dal palcoscenico offerto dalla presidenziali americane.

Intanto, come già il New York Times, anche il NY Mag sottolinea come alcune vittorie di OWS siano indubitabili: in un paio di mesi la protesta si è diffusa da New York a oltre 900 città in tutto il mondo; lo slogan "We are the 99%" è ormai entrato nel linguaggio corrente; nel dibattito politico americano il tema della ineguaglianza sempre più vistosa è ormai stabilmente presente.

Naturalmente ci sono anche le controindicazioni, gli sgomberi di questi ultimi giorni qualche ferita l'hanno lasciata. La più importante è quella sensazione da "la festa è finita" che un po' attraversa il movimento. Una stanchezza più che comprensibile ma, giura l'autore del servizio John Heilemann - a primavera OWS tornerà più imponente di prima. Per un nuovo '68?

Una faccia Una razza

Il video della protesta in Grecia.

Una piccola vittoria per gli indignados

Con lo sgombero dell'accampamento di indignados di fronte al municipio di Los Angeles, negli Stati Uniti sono stati ormai smantellati quasi tutti i campi più grandi presenti dal settembre scorso nelle più grandi città americane. Ma nonostante si possa dire concluso il periodo di "tolleranza" da parte delle autorità ormai passate alle maniere forti contro le occupazioni, una sicura vittoria il movimento americano lo ha ottenuto: lo slogan "we are the 99%" è entrato stabilmente nel lessico culturale e politico statunitense e non solo, come spiega il New York Times in questo articolo.

Una vittoria insignificante? Non proprio. Se è vero che il mondo si comincia a cambiare modificandone pensieri e parole.

Un'immagine da blog Tumblr "We are the 99%"

mercoledì 30 novembre 2011

Volevamo i capelli lunghi recensito da Repubblica.it

Su Repubblica.it, la recensione firmata da Giulia Iselle su "Volevamo i capelli lunghi", il nostro documentario sul film che il grande regista Mario Monicelli non riuscì mai a realizzare.



Un anno fa l'addio a Mario Monicelli, un documentario racconta l'opera inedita
La sera del 29 novembre del 2010 moriva uno dei maestri del cinema italiano. Esce un documentario sul suo film mai realizzato "Volevamo i capelli lunghi"

Ad un anno dalla scomparsa di Mario Monicelli, morto suicida come l'amatissimo padre, direttore antifascista del Resto, è uscito il libro a fumetti e il documentario sul film che il prolifico regista non riuscì mai a girare, Capelli lunghi. Lui che di documentari ne aveva fatto solo uno, il suo ultimo lavoro cinematografico dedicato al rione romano dove trascorse gran parte della sua vita intitolato Vicino il Colosseo c'è Monti. Nessuno come lui ha descritto tanto l'Italia dei Brancaleoni del dopoguerra: "E' stato il nostro Balzac, l'autore di una gigantesca commedia umana degli italiani" scriveva Curzio Maltese il giorno dopo il gesto estremo.

Il documentario Volevamo i capelli lunghi, prodotto dalle Officine Tolau, è realizzato da Stefano Aurighi, Davide Lombardi e Paolo Tomassone, insieme a Massimo Bonfatti, con un'intervista inedita a cura di Franco Giubilei al regista, che ripercorre la sua memoria raccontando la genesi di quest'opera - i motivi per cui non ha mai avuto uno sviluppo cinematografico - e del movimento del '68 e del terrorismo degli anni successivi. Il maestro della commedia all'italiana scrisse Capelli lunghi nella seconda metà degli anni '60, una sorta di controcanto alla canzone dei Nomadi "come potete giudicar, chi vi credete che noi siam, per i capelli che portiam". È la storia, ambientata in una località del modenese, semplice e rivoluzionaria di Michele, 17 anni, operaio tornitore dai capelli troppo lunghi per i benpensanti dell'epoca ed Esterina, 14 anni, che decide di scappare di casa come quella ragazza del pezzo dei Beatles "She's Leaving Home", che canta di una generazione che vuole conquistare la propria indipendenza. Un poeta, un sognatore, ribelle e libero, Michele combatte la propria battaglia quotidiana in famiglia e sul luogo di lavoro per una rivoluzione personale che sfida la società. I due si incontrano, fanno esplodere la loro forza di ribellione latente e decidono di assaporare la libertà a bordo di una moto rubata, ma la fuga d'amore on the road ha un tragico epilogo.

Il soggetto, rimasto in un cassetto, negli anni '90 è diventato un fumetto illustrato da Massimo Bonfatti. E, nel 2008, un libro (con il testo originale di Capelli lunghi dattiloscritto da Monicelli), scritto dal giornalista Franco Giubilei, che racconta la storia di questo film mancato che fu anche un romanzo, un saggio sull'Italia prima del '68, e un capitolo di diario del regista del volto allegro del neorealismo.



Il paradigma cileno

Da Repubblica del 29 novembre 2011, un articolo dello scrittore e giornalista venezuelano Moisés Naìm sulla protesta degli indignados in Cile, paese dove da mesi infiamma una durissima rivolta studentesca. Secondo Naìm, "capire quello che sta succedendo in Cile offre indizi utili per capire l'ondata di indignazione e proteste a cui stiamo assistendo in altre aree del pianeta".

Santiago de Chile Protest .


Sarebbe sorprendente se per le strade di Atene, Madrid o New York le proteste non ci fossero. La disoccupazione e la precarietà economica basterebbero a convertire milioni di rassegnati in milioni di indignati. Ma constatare che alcuni dei responsabili della crisi ora ci stanno guadagnando sopra produce una reazione umana quasi naturale: spegnere la tivù e scendere in piazza a protestare. Questo è facile da capire. Meno facile è capire perché la stessa cosa stia succedendo in Cile. E che importanza ha se le piazze si infiammano in Cile? In fondo è un piccolo e remoto Paese del Sudamerica e quello che succede laggiù non influenza molto il resto del mondo. È vero, ma capire quello che sta succedendo in Cile offre indizi utili per capire l'ondata di indignazione e proteste a cui stiamo assistendo in altre aree del pianeta.

sabato 26 novembre 2011

Old black bloc




E' inutile che ti nascondi con quel cappuccio a forma di cappello, ti abbiamo beccato.
Ecco il capo dei black bloc in azione a Modena.



Noi sappiamo chi sei e presto finirai nel nostro nuovo documentario "Rimetti a noi i nostri debiti".


giovedì 24 novembre 2011

lunedì 21 novembre 2011

Una risata vi seppellirà

Mentre negli Usa non si placano le polemiche per il poliziotto che tranquillamente inonda di spray al peperoncino gli inermi studenti della Davis University of California (qui il video), su tumblr - la piattaforma di microblogging di maggior successo dell'ultimo anno - nasce Peppersprayingcop, una pagina dove il panzuto turore dell'ordine (e tutto quello che simboleggia) viene bellamente sbeffeggiato.
Della serie: una risata vi seppellirà.


sabato 19 novembre 2011

Dove sono finiti gli aiuti per il risanamento

Intervistato da Paolo Casicci sul Venerdì di Repubblica del 18 novembre 2011, l'economista tedesco Max Otte spiega come gli enormi interventi pubblici per il salvataggio degli stati UE in crisi, siano soprattutto serviti a foraggiare ancora una volta banche e oligarchie finanziarie.

«La storia parte da lontano. Nel 2008 la crisi ha travolto l’economia mondiale, ma, almeno per ora, il crack è stato evitato grazie a massicci interventi pubblici. I costi però sono stati enormi: il solo Fondo tedesco per la stabilizzazione del mercato finanziario ha attivato misure per oltre 200 miliardi di euro, cioè 2500 euro per ciascun tedesco. Cifre che non tengono conto, ancora, dei programmi congiunturali e delle iniezioni di liquidità della Bundesbank e della Banca centrale europea. Ora, se la politica avesse imparato dalla crisi, avremmo forse potuto riprenderci del tutto. Ma, passato lo spavento, banche d’investimento e operatori finanziari hanno ricominciato a gestire affari molto rischiosi, e spesso tossici, senza essere ostacolati dalla politica. E quello che Angela Merkel aveva promesso nel 2008, e cioè che ogni operatore, prodotto e attività finanziaria dovessero essere sottoposti a norme nuove e più stringenti, è finito nel dimenticatoio. Così adesso le scosse si susseguono a intervalli sempre più brevi».

Ed ecco il caso Grecia.
«Che ha spinto i politici a farsi in quattro per “salvare la Grecia, l’euro e l’Europa”. Queste, però, sono tre menzogne. Né l’Europa, né i cittadini greci, né quelli dei Paesi creditori come la Germania hanno tratto alcun vantaggio dai 110 miliardi di euro messi a disposizione dai Paesi europei nel 2010 come “pacchetto di salvataggio”. Il nostro denaro non è andato in Grecia, Irlanda o Portogallo: è finito ancora alle banche, che si sono arricchite di nuovo. Questa volta con i prestiti greci».

Insomma: i governi, compreso quello tedesco, stanno provando a salvare le banche fingendo di voler salvare i cittadini?
«Esattamente. I beneficiari dei pacchetti di salvataggio sono le banche d’investimento e i super ricchi, che invece dovrebbero pagare per i propri errori. Il contagio greco è uno spettro preparato dall’oligarchia finanziaria perché si corra ai ripari. Il fallimento della Grecia e l'uscita dalla zona euro di Atene sarebbero, in realtà, l'unico modo per aiutare i greci e frenare il disastro».

Come funzionerebbe questa «bancarotta pilotata»?
«Non sarebbe la prima volta nella storia. In caso di insolvenza di uno Stato, quest’ultimo comunica ai creditori che non può far fronte ai propri debiti. Allora, debitore e creditori si accordano su uno stralcio o una ristrutturazione del debito e i creditori rinunciano a una parte delle loro richieste. Ma chi sono questi “creditori”? L’oligarchia finanziaria sta facendo passare l’idea che si tratti dei cittadini. Invece, i creditori privati sono le banche e le società di servizi finanziari. Soprattutto, istituti di credito spesso nelle mani di miliardari e oligarchi greci. È questa la casta che adesso stiamo salvando: non l’euro, non la Grecia e
neppure i greci».

Leggi tutto l'articolo.

New York, venerdì 18 novembre, foto di Tomaso Clavarino. (Fonte: Il Post)

giovedì 17 novembre 2011

Volevamo i capelli lunghi (di Monicelli) - Il documentario integrale

Il film che Monicelli non riuscì a girare è diventato un documentario, che qui sotto potete vedere integralmente. Il maestro della commedia all´italiana scrisse "Capelli lunghi" nella seconda metà degli anni ´60, la storia semplice e rivoluzionaria di Michele, operaio dai capelli troppo lunghi per i benpensanti dell´epoca (ma c'è da giurare che anche oggi, vista l'aria che tira, non sarebbe un film tanto gradito alla galassia economico-finanziaria che regge le sorti del Paese).
Ribelle, libero, sognatore, Michele combatte la propria battaglia quotidiana in famiglia e sul luogo di lavoro per una rivoluzione personale che sfocerà però in tragedia.

Il soggetto, rimasto in un cassetto, negli anni ´90 è diventato un fumetto illustrato da un grande autore: Massimo Bonfatti. E, nel 2008, un libro, scritto dal giornalista Franco Giubilei, che racconta la storia di questo film mancato, e delle immagini a fumetti che gli hanno dato comunque vita.

Ora tutto questo è diventato un documentario, realizzato dalle Officine Tolau. E' un viaggio vero e proprio nella memoria di Mario Monicelli, alla scoperta del film che non riuscì a realizzare perché la rivoluzione, all´epoca, non poteva entrare al cinema. E Monicelli, nella lunga intervista inedita contenuta nel documentario, non si tira certo indietro su questi temi, al contrario: sul movimento del '68 e sul terrorismo degli anni successivi, le sue parole sono così scomode da costringere tutti ad una rilettura di quegli anni.

Da New York a Bologna, la protesta non si ferma

Secondo Linkiesta, lo sgombero di Zuccotti Park deciso dal sindaco Bloomenberg non fermerà il movimento di "Occupy Wall Street". Né negli Usa, né nel resto del mondo, pur con tutte le differenze esistenti tra le varie declinazioni della protesta globale.

Ma se ormai è chiaro il "Chi sono" degli indignados, resta da capire "Dove vanno".

E' quello che si chiede proprio su Linkiesta Enrico Pedemonte, secondo il quale, il movimento non starebbe rinnovando la sinistra: "Occupy Wall Street è la riscossa del pensiero di sinistra dopo trent’anni di egemonia liberista o solo un sussulto movimentista destinato a lasciare tracce marginali di sé? Negli Usa, c’è chi legge questa protesta come un segnale che il ciclo trentennale del reaganismo è ormai concluso e una nuova era sta sorgendo. Solo che non ci sono ricette per alimentare l’era progressista che sarebbe alle porte, né si trovano moderni Keynes. Il nuovo credo progressista si basa sul binomio “guinzaglio alla finanza” e “più tasse ai ricchi”. Un po’ poco". Per Pedemonte "Occupy Wall Street è la febbre che segnala la malattia in corso, ma la medicina non c’è ancora".

Il video dello sgombero di Zuccotti Park:




Anche a Bologna, ieri la polizia ha sgomberato i ragazzi che occupavano l'ex cinema Arcobaleno, struttura in disuso da anni. Una struttura che, per Franco Berardi, detto Bifo, storico ex leader di Radio Alice è "un buco nero, un monumento al nulla culturale di questa classe politica corrotta. E tale deve rimanere: un monumento al nulla".

"Quando avevo 16 anni - ricorda Bifo - il mio professore di filosofia mi portava a vedere i film d'essai al cinema Arcobaleno. In quel luogo ho visto 'Il Vangelo secondo Matteo' di Pasolini, ho visto 'Persona' di Ingmar Bergman. Poi i tempi sono mutati, e cio' che e' apparteneva alla comunita' e' stato sottomesso all'interesse privato di pochi". Chiara anche la critica al Comune che, continua Bifo, "dovrebbe proteggere l'interesse collettivo" e invece "è divenuta strumento della sopraffazione".

"Come accade sempre piu' spesso gli interessi del profitto, della rendita immobiliare e della speculazione prevalgono sugli interessi della comunità" conclude Bifo che però promette "continueremo la nostra azione, nell'autonomia e nella dignità di chi non si vende" (Fonte: ADNKronos).

Sempre nel capoluogo emiliano, ieri gli indignados hanno innalzato un muro di circa un metro davanti alla filiale Unicredit di Piazza Aldrovandi, all'urlo "Unicredit pagaci le tasse!" (qui il video).

Fonte immagine: Twitpic

mercoledì 9 novembre 2011

Costi scandinavi e prestazioni sudamericane

Il bello di Internet è che ormai i commenti a post o articoli pubblicati sono spesso più interessanti degli stessi. Come questo commento di tal Carlo Grezio a questo post di Oscar Giannino.

In questo paese non esiste più da tempo una classe politica capace di inquadrare i problemi gerarchicamente e di impostare strategie di ampio respiro capaci di poggiare su più pilastri per arrivare ad un risultato strutturale e consolidato nel tempo .
Si continua a parlare di ipotesi di singoli interventi senza avere una quadro di riferimento condiviso di problemi, cause ed effetti e nemmeno di obbiettivi di medio lungo periodo.

Le cosiddette manovre sono un guazzabuglio di provvedimenti parziali e contraddittori, oltre che mal scritti.
E’ tutto un rincorrersi di pannicelli caldi e palliativi, come diventa qualunque provvedimento se non è preso in una cornice ampia e coordinata ,che eviti contraddizioni e effetti collaterali e perversi.

DEBITO PUBBLICO: non è la causa, ma l’effetto della dissennata gestione in deficit della amministrazione pubblica da oltre un secolo. Se non pareggi mai costi e ricavi alla fine avrai un debito insostenibile.(ovviamente da misurarsi non rispetto al Pil, ma rispetto alle entrate annuali). Che senso ha ipotizzare manovre straordinarie di riduzione del debito se non si blocca il meccanismo che l’ha fatto inesorabilmente crescere anno dopo anno?

CRESCITA ECONOMICA: ormai ferma da oltre un decennio pur misurandola – in modo più o meno truffaldino – inserendo nel PIL quote crescenti di economia sommersa. E’ indispensabile che riprenda la crescita non solo perché così risulterà più agevole gestire lo stock di debito pubblico, ma per risolvere problemi di disoccupazione, di povertà crescente, di distruzione di ricchezza cumulata, di futuro per i giovani.
Non si avrà ripresa della crescita senza misure di incentivazione/attrazione degli investimenti, quindi di riduzione della pressione fiscale sul lavoro e sull’impresa.

PRESSIONE FISCALE: insopportabile sia che la si misuri come quota % di un Pil misurato in modo truffaldino (cioè incrementato dell’economia sommersa) ormai al 45 – 46 %, sia che la si misuri – come sa chi paga le tasse – in termini del 60-65% su chi produce redditi da lavoro e da impresa. Ne deriva che la pressione fiscale è fortissima su lavoro e impresa, molto forte sui consumi e molto blanda sulle rendite.(per i rentiers puri l’italia è di fatto un paradiso fiscale) . Questa situazione – assolutamente ingiusta anche in caso di finanza pubblica in ordine – è causa , non effetto, della bassa crescita economica.

EVASIONE FISCALE: è contemporaneamente causa ed effetto di una serie di fenomeni. Sicuramente è causata da aliquote marginali particolarmente esose richieste in cambio di servizi pubblici vergognosi, ma soprattutto congegnando il tutto in modo che chi può sottrarsi facilmente alla tassazione lo possa fare senza porsi più di tanto il problema. Alla fine abbiamo una pressione fiscale insopportabile ai danni di chi non può sottrarsi, per esempio i lavoratori dipendenti (non perché più onesti, infatti sono disponibilissimi in genere a mettere in nero parte delle loro prestazioni – per es gli straordinari) accompagnata da una forte disattenzione/complicità rispetto a chi può sottrarsi più facilmente.

Grande è la confusione sotto il cielo

Nel conflitto globale dichiarato tra le oligarchie politico finanziare e le democrazie cui accennavamo nel post di ieri riprendendo un articolo di Nadia Urbinati, esiste una specificità tutta italiana che rende - se possibile - ancora più grande la confusione sotto il cielo.

Infatti in Italia ben più che altrove, come ci ricorda l'economista Franco Debenedetti, cause del debito sono spese e sprechi. Vizi endogeni che nemmeno un cieco potrebbe negare essere elementi strutturali del quadro socio-economico di questo Paese. Vizi endemici, non certo frutti del sole estivo di questo 2011, mostruosamente amplificati dal disastro politico che il tramonto di quasi un ventennio di berlusconismo porta con sé, travolgendo tutto e tutti.

Come ai vecchi tempi

Graham Nash e David Crosby suonano a Zuccotti Park per Occupy Wall Street (Fonte: Il Post)

martedì 8 novembre 2011

La democrazia? Un problema. Per i "mercati"

La democrazia? Rischia di essere messa in naftalina.

E' quanto sostiene la politologa Nadia Urbinati che, in un articolo pubblicato su Repubblica di oggi, analizza le ragioni dello scontro in atto tra il movimento degli indignados (o Occupy Wall Street, come li si voglia chiamare) e le oligarchie economico finanziarie globali che, di fatto, sono i veri Masters of the Universe contemporaneo.

Nelle democrazie - spiega Urbinati - le oligarchie che da sempre governano in tutti i tempi e tutti i luoghi, vengono incorporate nel sistema (democratico). Almeno, fino a quando "l'economia cresce e produce ricchezza alla quale tutti, chi più e chi meno, possono sperare di accedere e, nei fatti, vi accedono anche. Ma quando questa condizione decade, allora la moltitudine comincia a proporre politiche che intaccano le ricchezze e le proprietà dei pochi, politiche fiscali redistributive. È a questo punto che la differenza tra oligarchia e democrazia si mostra con tutta la sua radicalità".

"Occupy Wall Street – prosegue la politologa - è il segno che la tregua tra oligarchia e democrazia si è interrotta. Le pressioni delle dirigenze finanziarie e bancarie sulla democrazia greca (...) affinché non ricorra al referendum è il segno di un'escalation del potere oligarchico su quello democratico. E che il popolo greco non vada al referendum è un segno del potere che l'oligarchia ha di fare sentire la sua voce. Ma è anche un segno del fatto che le procedure democratiche stesse possono diventare un problema se il loro uso paventa esiti che possono mettere a repentaglio l'interesse materiale dei pochi".

domenica 6 novembre 2011

Lo spot di Occupy Wall Street

Da sabato scorso alcune importanti televisioni americane – Bloomberg, ESPN, CBS Sports e Fox News – trasmettono uno spot che promuove la causa dei manifestanti di Occupy Wall Street. La pubblicità andrà in onda almeno fino a lunedì, anche su alcuni canali locali: dura 30 secondi e mostra nove manifestanti descrivere brevemente i loro desideri e le loro ragioni. Il regista dello spot si chiama David Sauvage. Gli spazi televisivi sono stati acquistati grazie alle donazioni di 168 cittadini, e lo spot non contiene alcun invito a donare dei soldi. «Non vogliamo che la gente ci mandi dei soldi», ha detto il regista, «bensì che decidano di impegnarsi nel dibattito politico: vogliamo che la gente capisca che le persone che stanno protestando sono normali e hanno preoccupazioni sensate». (via Il Post)

sabato 5 novembre 2011

La rivoluzione? Cambiare i rapporti sociali di produzione

Su Internazionale in edicola questa settimana, il filosofo e psicanalista sloveno Slavoj Žižek, spiega perché le richieste degli indignados, nostrani e non, vadano oltre la semplice critica radicale a politiche errate nei confronti degli ormai famosi 99% (cioè tutti coloro che non sono parte di quell'1% che detiene la metà della ricchezza del pianeta), ma, citando Marx, centrano la questione che la "libertà non dovrebbe essere riferita solo alla sfera politica, cioè a cose come le libere elezioni, l’indipendenza della magistratura, la libertà di stampa o il rispetto dei diritti umani. La vera libertà risiede nella rete “apolitica” dei rapporti sociali, dal mercato alla famiglia, dove la trasformazione necessaria per promuovere dei miglioramenti non è la riforma politica, ma un cambiamento nei rapporti sociali di produzione".

Elemento che, evidentemente, riannoda il filo rosso che lega proteste apparentemente tra loro distanti come quelle della primavera araba e i movimenti nati in Spagna o da Occupy Wall Street.

Leggi tutto l'editoriale su Internazionale.

Fonte immagine: United for global change

Fonte immagine, Occupy Germany

martedì 1 novembre 2011

La mia banca mi presterebbe 7mila euro, ma poi ne vorrebbe indietro 9726: + 40%

Quando il telefono squilla, ho appena immerso il cucchiaio di legno nell'acqua bollente, pronto a recuperare uno spaghetto per saggiarne la cottura. Eccheppalle, sempre all'ora di pranzo chiamano per proporti nuovi contratti telefonici.

Vabbè, vediamo.

Aiuto! Sul display appare il numero della mia banca. Non il centralino, proprio il numero della mia filiale. Avrò fatto qualche casino? Il mio rosso in banca è troppo rosso? Cosa c'è di così urgente da chiamarmi a casa all'ora di pranzo? Non è mai successo in vent'anni.

Sfodero un "pronto?" sicuro, da uomo innocente ed integerrimo, deciso a vendere cara la pelle e a non far scuocere la pasta.

"Signor Aurighi?"
Qui non posso negare: "Si, buongiorno".
"Buongiorno signor Aurighi, è la filiale XYZ della Banca XYZ", dice una voce femminile cortese e davvero gentile.
Penso tra me e me : "Vabbè, fin qui lo sapevo".
"Signor Aurighi, il suo nome risulta tra quelli..."
Mi cade il cucchiaio nell'acqua bollente. Sta a vedere che ho fatto davvero qualche casino.
"Il suo nome risulta tra quelli a cui la banca ha deciso di fare..."
"Un mazzo così", penso.
"...un prestito a condizioni favorevoli".

Il discorso di Renzi è stato scritto da Beppe Grillo



Al netto della retorica piaciona e delle ovvietà sparse a piene mani, quello di Matteo Renzi al Big-Bang di Firenze è stato un discorso che sembrava scritto da Beppe Grillo.

Certo, il giovin Matteo non parla con il microfono nelle viscere come Grillo, che schiuma furore ad ogni sillaba. Però è evidente: dietro la forma scanzonata dell'accento toscano, che ingentilisce anche i sassi, passa la sostanza poderosa del grillismo di Renzi, applaudito proprio nei passaggi-chiave che sono così poco Pd e così tanto Cinque Stelle.

Facciamo il gioco delle analogie con il grillismo? Facilissimo.
Dice Renzi: “Smetteremo di pensare che si può vivere oggi pensando che si può lasciar da pagare a quelli che verranno dopo. E su questo la vera sfida sarà la questione ambientale”. Ma va? Pare di averla sentita altrove prima che dentro il Pd. Era ora, comunque.

domenica 30 ottobre 2011

Un'altra politica? Può nascere solo dall'indignazione

Su Internazionale n. 921, il sociologo spagnolo Manuel Castells ripercorre le azioni degli indignados in questi ultimi mesi tracciando caratteristiche e prospettive del movimento.

Il 15 ottobre del 2011 è stato un giorno di svolta per i movimenti nell’era di internet. Centinaia di migliaia di persone hanno manifestato in più di mille città di 82 paesi rispondendo a un appello lanciato inizialmente da un gruppo su Facebook. L’iniziativa è nata a settembre a Barcellona durante una riunione delle reti di attivisti che hanno convocato la manifestazione internazionale del 15 ottobre con lo slogan #unitedforglobalchange. I manifestanti criticavano il capitalismo inanziario che ha scatenato la crisi e i governi che sembrano essere al suo servizio. Non sono emersi dei leader e non sono nati dei comitati di direzione, solo assemblee e reti locali collegate in reti globali.

Dopo le rivoluzioni arabe, le rivolte in Grecia, gli indignati in Spagna e in Europa, la mobilitazione contro il governo israeliano e la rapida difusione delle occupazioni e delle manifestazioni in centinaia di città degli Stati Uniti, la convergenza delle proposte del 15 ottobre è stata un segnale del carattere globale del movimento. Ma ogni protesta locale è stata caratterizzata dalle sue rivendicazioni.

sabato 29 ottobre 2011

Quell'equazione impossibile del presente

Viene da chiedersi come due variabili apparentemente così lontane tra loro possano trovare soluzione in quell'equazione che potremmo chiamare "il nostro tempo" o, più semplicemente, "contemporaneità".

Da una parte gli indignados, il cui movimento globale sembra certificare l'implosione del capitalismo, o quantomeno della sua deriva contemporanea (ma è mai esistito un capitalismo buono per tutti, dove quel tutti, ormai, ha veramente una dimensione globale?), che allude, esplicitamente o implicitamente, a modelli di decrescita rispetto a quello tsunami che sempre più si rivela "la crescita continua".

Gli indignados di Wall Street spiazzano anche l'FMI

Tradotto da Il Sole 24 Ore di oggi, Paul Krugman, economista e celebre editorialista del New York Times, prova a spiegare perché - a suo parere - il movimento che prende il nome di Occupy Wall Street rappresenti una rottura importante rispetto alle teorie economiche dominanti, favorevoli in maniera rigorosa a "misure di austerity" che, invece "faranno crescere la disoccupazione e ostacoleranno la crescita".

Ho visitato lo Zuccotti Park, il parco newyorchese dove sono radunati gli indignados americani, il 20 ottobre. Michael Moore ha tenuto un breve discorso, diffuso mediante microfono umano, che è quel sistema in cui un manifestante a portata di udito dal palco ripete quello che sta dicendo l’oratore a beneficio di quelli più distanti. (Per inciso,sento dire che la destra accusa i manifestanti di Occupy Wall Street di essere antisemiti: beh, hanno dimenticato di menzionare l'eccellente band di musica klezmer).

venerdì 28 ottobre 2011

Una sera a Modena City

Scatti rubati ai Modena City Ramblers durante una sessione di prove prima di un concerto. Nel buio del palco.