mercoledì 22 febbraio 2012

Guai alla politica che si lamenta di se stessa

La puntata del 20 febbraio de "Il Bene comune" la trasmissione di approfondimento condotta da Massimiliano Panarari su Studio 1. Tema del giorno: la rappresentanza. Tra gli altri ospiti della puntata, anche Stefano Aurighi delle Officine Tolau.

Il promo:



La puntata integrale:

lunedì 20 febbraio 2012

A proposito di debito

Mentre dalla Grecia arrivano segnali di una rivolta sempre più incontrollabile (il più importante sindacato di polizia ha minacciato di arrestare i funzionari Ue e FMI: "Qualora continuiate con le vostre politiche distruttive, vi avvisiamo che non riuscirete a farci combattere contro i nostri fratelli. Ci rifiutiamo di fronteggiare i nostri genitori, i nostri figli e tutti i cittadini che protestano e chiedono un cambiamento nelle politiche") in un'intervista a Linkiesta, l'economista Stuart Holland già consigliere di Jacques Delors negli anni Novanta, spiega perché "La politica economica che impone Merkel all’eurozona sta facendo marciare il continente verso il disastro". Secondo Holland, servirebbe "un New Deal europeo, e i governi devono strappare il potere dalle mani delle agenzie di rating":

Quando la Commissione Europea e Olli Rehn parlano di austerità espansiva, lo fanno riferendosi all’esperienza delle economie di Olanda, Danimarca e Svezia negli anni ’80 del XX secolo quando, nel contesto di una generale crescita economica a livello europeo, furono possibili tagli di spesa senza che questi inibissero la produzione di ricchezza. Ciò che però viene omesso è che questi Paesi combinarono i tagli con la svalutazione della propria moneta, aumentando in questo modo la propria competitività internazionale. Oggi, però, le economie dell’eurozona hanno perso la possibilità di svalutare la moneta e, con tutta l’Europa in recessione o in una situazione di bassa crescita, non c’è alcuna uscita dalla crisi attraverso la reciproca austerità. Questa è una risposta alla crisi di stampo pre-Keynesiano: sostiene infatti che l’austerità mette in moto dinamiche capaci di condurre alla crescita nel lungo periodo. Peccato che, citando lo stesso Keynes, nel lungo periodo siamo tutti morti e che, nella situazione attuale, tagliare, tagliare e tagliare ancora senza alcuna controparte in investimenti pubblici volti alla ripresa significa far morire il modello sociale europeo e gli impegni di coesione economica e sociale che costituivano i due pilastri della prima revisione del Trattato di Roma, il Single European Act del 1986.

Ma allora per quale motivo si stanno imponendo tali misure, come ad esempio è stato fatto in Grecia?
La risposta a questa domanda ha a che fare con la storia e con la psicologia. È stato Nietzsche nella sua “Genealogia della Morale” a sottolineare che la parola “debito” in tedesco è la stessa che viene utilizzata per “colpa” e che creditori forti, a vari livelli di consapevolezza, provano piacere nel punire debitori deboli. C’è poi anche il concetto di “identificazione proiettiva”, formulato da Melanie Klein, che consiste nel scindersi da ciò che è buono o cattivo in noi stessi, proiettandolo su altri. Questa è la prima volta dalla Seconda Guerra Mondiale che la Germania è nella posizione di scindersi dal senso di colpa per il Nazismo e l’Olocausto, proiettando tale colpa sul resto dell’Europa. Ma ci sono rischi ben più profondi per la Germania, se il suo governo prosegue nella condotta sin qui adottata. In questo modo, infatti, potrebbe causare la terza disintegrazione dell’Europa in cento anni, una nuova colpevolizzazione della Germania da parte del resto d’Europa e un immeritato nuovo senso di colpa per le giovani generazioni di tedeschi, che apprezzano la cooperazione europea e vogliono vederla funzionare senza che la Germania ne sia padrona.

E per quale motivo Merkel si sta mettendo in una posizione così pericolosa?
Merkel è convinta che l’unica soluzione alla crisi implichi trasferimenti fiscali dai Paesi virtuosi verso i Paesi in deficit, ma si sbaglia. Assieme a Yanis Varoufakis è dal 2010 che suggerisco un modo diverso di vedere il percorso d’uscita dalla crisi. Io non credo che la Germania debba pagare per il debito greco, ma allo stesso tempo non penso che abbia il diritto di imporre la svendita di un intero Paese. La proposta che abbiamo fatto è qualcosa di analogo a quanto proposi già vent’anni fa come consigliere di Jacques Delors, in un report intitolato The European Imperative: Economic and Social Cohesion in the 1990s, pubblicato nel novembre 1993 e nel dicembre dello stesso anno come Libro Bianco di Delors, che sosteneva che l’Europa deve emettere titoli per finanziare investimenti per la coesione sociale ed economica. L’idea è semplice ed è quella di un New Deal europeo.

Leggi tutto l'articolo su Linkiesta.
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Fonte: Occupy Mainstream Media

domenica 19 febbraio 2012

Carletto e il principe dei mostri

Visto che Carletto ha la querela-super-facile, ognuno può comporre la notizia come meglio crede. Noi diamo solo qualche indizio, qualche foto e qualche secondo di video.

Dei parrucconi, la domenica pomeriggio invece di guardare "Domenica In", salgono su un palco in piazza a Modena e cominciano a sblaterare frasi leggermente inneggianti l'omofobia.
Dei zozzoni si baciano per strada.

Un "ex" - da lontano - mescola (e confonde) Sodoma, Gomorra e gli Squadristi fascisti.

La Ghirlandina è ferma.
Non piove ma non c'è neanche il sole.

I palloncini arancioni sembrano quelli di Pisapia a Milano.
Girano solo tre macchine in centro storico: una della polizia municipale, una dei carabinieri e una della polizia.
Ci sono più macchine fotografiche e telecamere che baci.


sabato 18 febbraio 2012

"Rimetti a noi i nostri debiti" (Get out of our debts) - The english trailer

The english trailer of the documentary film by "Officine Tolau" about the Occupy Movement.



Il trailer in inglese di "Rimetti a noi i nostri debiti" il film delle Officine Tolau sul movimento Occupy.

venerdì 17 febbraio 2012

"Rimetti a noi i nostri debiti" (Annule nos dettes) - La bande-annonce

La bande-annonce du documentaire des Officine Tolau sur le muovement des indignados/Occupy.
Il trailer in francese di "Rimetti a noi i nostri debiti".

giovedì 16 febbraio 2012

Occupy tra i campioni dell'innovazione

Fastcompany, la rivista americana punto di riferimento per il business e la new economy di tutto il mondo, pubblica la classifica delle 50 aziende più innovative al mondo nell'anno appena conclusosi.
Le prime sei posizioni non presentano grandi sorprese: prima in assoluto c'è Apple; seguono nell'ordine Facebook, Google, Amazon, Square e Twitter.

La sorpresona - quella vera - si piazza al settimo posto: è il movimento di Occupy che, secondo Fastcompany, incarna tutti i tratti che rendono smart, cool, veloce, dinamica un'azienda.

Certo, Occupy non è una company, ma per la rivista americana, il movimento presenta - almeno spiritualmente - tutto ciò che farebbe un'azienda campione nell'innovazione: rompe gli schemi, è trasparente, tecnologicamente avanzata, ben informata e puntuale nella comunicazione, capace di inventare e promuovere applicazioni per supportare, amplificare e mettere in connessione tutti gli aderenti al movimento. Impiega menti creative per "lanciare il proprio prodotto".

Le aziende "veloci" come Occupy - conclude il pezzo - naturalmente non sono perfette. Ma quasi sempre, sono parte della soluzione, non un problema. Così come le ragionevoli proteste dei cittadini.

Fonte: Occupy posters

venerdì 10 febbraio 2012

Trenitalia, neve: Leggendario botta-risposta tra giornalista e pendolare

L'ingrato mestiere del cronista/giornalista Tolau durante calamità naturali come le nevicate di febbraio 2012 che hanno paralizzato l'Italia

giovedì 9 febbraio 2012

Narrare la crisi

Su Nazione Indiana, il saggista Lanfranco Caminiti, ricostruisce le narrazioni filmiche e letterarie precedenti e contemporanee alla crisi economico-finanziaria americana. Solo la presenza di simili narrazioni - è la tesi dell'autore - è in grado di costruire un'immagine accessibile, davvero pubblica, della crisi finanziaria, mobilitando immaginazione e affetti, oltre che pretese contabilità economiche e imperativi politici.

Noi europei, noi italiani, non abbiamo avuto una narrazione della crisi finanziaria. Forse sta qui uno dei motivi per cui un movimento come quello di Occupy Wall Street rimane inconcepibile. Noi europei, noi italiani, non abbiamo avuto esperienza della crisi finanziaria, e senza esperienza non c’è narrazione. La crisi finanziaria è rimasta confinata tra i tecnici, nell’inner circle, gente che va e viene tra incarichi pubblici e consigli di amministrazione privati di banche o fondi di investimento.

L’introduzione di termini tecnici, a volte paradossale, a volte grottesca, come quella dello spread, nel linguaggio giornalistico prima e nella chiacchiera pubblica dopo, non ha modificato questa realtà, anzi l’ha resa ancora più impermeabile, più distante. Lo spread non comunica nulla, se non un dato che sembra oggettivo e bizzarro come il tempo: accanto alle informazioni meteo, le televisioni e i quotidiani vanno introducendo le informazioni spread. Lo spread non appartiene alla nostra esperienza umana quotidiana, a meno di non essere uno che tutti i giorni interviene sul mercato secondario dei titoli.

La continua reiterazione dei movimenti dello spread ha finito per uccidere qualsiasi narrazione possibile. Forse, è proprio questo il punto: l’informazione, ossessiva, espropria la narrazione. Siamo inzeppati di analisi, grafici, ragionamenti, statistiche e sequenze, ma piuttosto di facilitarci nel comunicare qualcosa, una qualsiasi esperienza, questa mole di dati diventa disumana, un paesaggio di macerie, una voragine. Non ci sono eroi, nello spread, non ci sono codardi, non ci sono passioni, amori, tradimenti. Lo spread non potrà mai essere un personaggio. E senza personaggi non ci sono storie.

Penso alla più recente prosa di Eugenio Scalfari [repubblica.it del 16 gennaio 2012], tipo: «Il Tesoro tuttavia, come la stessa Bce ha suggerito e dal canto nostro abbiamo raccomandato, dovrebbe aumentare il numero dei titoli in scadenza a breve durata, che il mercato vede con favore. Dovrebbe altresì azzerare il fabbisogno con un’operazione che rientra agevolmente nelle sue attuali capacità». Per chi scrive Scalfari? Chi è il lettore di Scalfari? Monti, Draghi, Vittorio Grilli? L’inner circle? Davvero esiste una narrazione comune, sociale – si può essere insieme narratori e lettori – che passa attraverso la differenza che andrebbe sollecitata tra le emissioni e i rendimenti dei titoli a breve, media e lunga scadenza?

Leggi tutto il saggio breve su Nazione Indiana: "Di cosa scriviamo quando scriviamo di crisi".

Fonte: The poster art of Occupy Wall Street

martedì 7 febbraio 2012

Anonymous minaccia i black bloc

Anonymous, il collettivo di hacktivists operativo da qualche anno e reso celebre da alcuni attacchi informatici di successo anche nel nostro Paese, questa volta se la prende con il cosiddetto black bloc. In un video caricato online qualche giorno fa, minaccia il blocco nero di possibili ritorsioni in caso di tentativi di infiltrazione nelle manifestazioni di Occupy in giro per il globo, come accaduto a Roma il 15 ottobre scorso.

Secondo Anonymous, le manifestazioni pacifiche degli indignados hanno avuto ripercussioni economiche molto maggiori rispetto a qualsiasi atto di vandalismo del black bloc. Vandalismo che provoca solo danni inutili e spesso ha come obiettivo persone del tutto innocenti (gli impiegati di una banca, ad esempio). Il sospetto di Anonymous è che dietro il blocco si nascondano "agenti provocatori". Di qui l'avvertimento: lasciate stare tutto ciò che riguarda Occupy o non dimenticheremo. (Fonte: Il mensile di Emergency)


lunedì 6 febbraio 2012

Il rap del pendolare

Febbraio 2012. Continua l'odissea del pendolari. Ecco il "rap del pendolare" delle Officine Tolau.

C'era una volta la classe media

Dimitris Pavlópulos ha una pensione di 550 euro al mese e spende mensilmente 150 euro in medicine. Il taglio alle sovvenzioni per i farmaci lo obbliga a scegliere tra comprare un litro di latte (1,5 euro) o una medicina per curare la sua malattia. Affrontare entrambe le spese è impossibile.

Manuel G. è un disoccupato di lungo corso che ha nostalgia dei mille euro che guadagnava all'inizio della crisi. Ha perso il lavoro di impiegato tre anni fa, e ormai non gli spetta più il sussidio di disoccupazione. Non potendo tornare a casa dai genitori, vive in una stanza in affitto, frequenta la mensa per i poveri e indossa i vestiti regalati da una ong.

Sono le vittime della crisi, persone che appena cinque anni fa appartenevano alla classe media o medio-bassa e che oggi sono i nuovi poveri. Devono scegliere tra un pasto caldo o il riscaldamento, tra la sopravvivenza e il pagamento dell'ipoteca. Hanno cancellato il concetto di povertà legata ai mendicanti. Oggi, sempre di più, la povertà si associa alla normalità. "I volontari di ieri sono gli assistiti di oggi", spiega Jorge Nuño, segretario generale di Caritas Europa.


Leggi tutto l'articolo tratto da El Pais su Presseurope.

venerdì 3 febbraio 2012

Siberia emiliana

Terzo giorno di Siberia emiliana. Andata su rotaia da Modena a Bologna, ritorno in corriera da Bologna a Modena via Bazzano (non esiste linea diretta) grazie al "piano neve" di Trenitalia che praticamente consiste in un diluvio di cancellazioni di treni da e per Bologna e ritardi in continua evoluzione. Come natura vuole.






giovedì 2 febbraio 2012

La felicità del pendolare sotto la neve

E Repubblica.it decise di raccontare "la felicità del pendolare sotto la neve": una giornata di ordinaria follia in cui le Officine Tolau, nelle vesti di indomiti pendolari, affrontano la trasferta da Modena a Bologna. Autobus con porte che rimangono aperte, treni con porte che non si chiudono, treni cancellati e ritardi di 4 ore e mezzo. E per fortuna che alla fine è arrivata sera.