giovedì 9 febbraio 2012

Narrare la crisi

Su Nazione Indiana, il saggista Lanfranco Caminiti, ricostruisce le narrazioni filmiche e letterarie precedenti e contemporanee alla crisi economico-finanziaria americana. Solo la presenza di simili narrazioni - è la tesi dell'autore - è in grado di costruire un'immagine accessibile, davvero pubblica, della crisi finanziaria, mobilitando immaginazione e affetti, oltre che pretese contabilità economiche e imperativi politici.

Noi europei, noi italiani, non abbiamo avuto una narrazione della crisi finanziaria. Forse sta qui uno dei motivi per cui un movimento come quello di Occupy Wall Street rimane inconcepibile. Noi europei, noi italiani, non abbiamo avuto esperienza della crisi finanziaria, e senza esperienza non c’è narrazione. La crisi finanziaria è rimasta confinata tra i tecnici, nell’inner circle, gente che va e viene tra incarichi pubblici e consigli di amministrazione privati di banche o fondi di investimento.

L’introduzione di termini tecnici, a volte paradossale, a volte grottesca, come quella dello spread, nel linguaggio giornalistico prima e nella chiacchiera pubblica dopo, non ha modificato questa realtà, anzi l’ha resa ancora più impermeabile, più distante. Lo spread non comunica nulla, se non un dato che sembra oggettivo e bizzarro come il tempo: accanto alle informazioni meteo, le televisioni e i quotidiani vanno introducendo le informazioni spread. Lo spread non appartiene alla nostra esperienza umana quotidiana, a meno di non essere uno che tutti i giorni interviene sul mercato secondario dei titoli.

La continua reiterazione dei movimenti dello spread ha finito per uccidere qualsiasi narrazione possibile. Forse, è proprio questo il punto: l’informazione, ossessiva, espropria la narrazione. Siamo inzeppati di analisi, grafici, ragionamenti, statistiche e sequenze, ma piuttosto di facilitarci nel comunicare qualcosa, una qualsiasi esperienza, questa mole di dati diventa disumana, un paesaggio di macerie, una voragine. Non ci sono eroi, nello spread, non ci sono codardi, non ci sono passioni, amori, tradimenti. Lo spread non potrà mai essere un personaggio. E senza personaggi non ci sono storie.

Penso alla più recente prosa di Eugenio Scalfari [repubblica.it del 16 gennaio 2012], tipo: «Il Tesoro tuttavia, come la stessa Bce ha suggerito e dal canto nostro abbiamo raccomandato, dovrebbe aumentare il numero dei titoli in scadenza a breve durata, che il mercato vede con favore. Dovrebbe altresì azzerare il fabbisogno con un’operazione che rientra agevolmente nelle sue attuali capacità». Per chi scrive Scalfari? Chi è il lettore di Scalfari? Monti, Draghi, Vittorio Grilli? L’inner circle? Davvero esiste una narrazione comune, sociale – si può essere insieme narratori e lettori – che passa attraverso la differenza che andrebbe sollecitata tra le emissioni e i rendimenti dei titoli a breve, media e lunga scadenza?

Leggi tutto il saggio breve su Nazione Indiana: "Di cosa scriviamo quando scriviamo di crisi".

Fonte: The poster art of Occupy Wall Street

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