L'editoriale de La Stampa di Torino dell'11 ottobre 1963, titolo: "Non solo fatalità", firmato da "Didimo".
L'immane sciagura, abbattutasi su alcuni abitati della valle del Piave, a monte di Belluno, è per molti aspetti sconcertante. Certe disgrazie, alla stessa guisa che si ripetono, così si assomigliano; ma a questa è forse difficile trovare dei precedenti. Secondo le risultanze ormai note, un fianco del monte sarebbe franato entro il lago artificiale. La diga, che delimita questo verso valle, è alta, arditissima: una sorta di volta a vela relativamente sottile, disposta, proprio come una vela marina, su un piano all'incirca verticale, per contrastare alla spinta delle acque.
La frana si è abbattuta nel lago poco a monte di questa costruzione e le acque, ricacciate dall'urto del materiale franato, da una parte si sono spostate verso il monte, in lunghe ondate che hanno spazzato i caseggiati delle rive; dall'altra parte, in un volume enorme, travalicato il coronamento della diga stessa, si sono abbattute sulla sottostante vallata. Che questa massa d'acqua sia stata tanto grande da produrre una catastrofe di mole « biblica» (l'espressione è del presidente del Consiglio ), che essa abbia mietuto vittime, in un numero forse superiore a quante mai se ne siano avute in seguito a vere e proprie rotture degli sbarramenti, questo è un aspetto sconcertante dell'accaduto.
Un'altra circostanza stupefacente è proprio che la diga sia rimasta intatta o quasi, salvo che per qualche smozzicatura al margine superiore, dopo aver subito l'enorme colpo di pressione che la investì da monte.
Come suole accadere dopo grandi sciagure, è verosimile che. anche questa volta, al compianto per tante vite falciate, si uniscano accuse di negligenze colpevoli: anzi, il governo si è già impegnato ad accertare cause e responsabilità dell'evento, a nominare una commissione di tecnici. In questo necessario accertamento sarà quanto mai opportuno fare un uso discreto del senno del poi. Come s'è detto, la sciagura ha caratteri di grande eccezionalità. Se la diga avesse ceduto, essa sarebbe la grande accusata del momento, e forse poco si penserebbe alla frana della montagna. Ma la diga ha tenuto, nonostante il suo primato di altezza, nonostante la sua elegante finezza; il che è un punto di merito e di conferma per la nota bravura dei costruttori italiani. La causa dunque va cercata unicamente nella frana, e cioè nello stato della montagna: la quale, in questa valle come in altre molte del territorio italiano, risente della ripidità dei pendii, non sempre protetti, anche là dove sarebbe possibile, da una sufficiente vegetazione arborea.
Dove si costruiscono dighe, le imprese che a ciò provvedono e poi quelle che amministrano i serbatoi, di solito si impegnano anche in opere concernenti il territorio circostante: strade, ponti, briglie su affluenti, lavori di consolidamento è di miglioramento; per i quali non c'è un obbligo di legge, ma che sono inerenti alla stessa conservazione delle costose opere e degli impianti: bisogna evitare infatti l'interramento dei bacini, i quali dovrebbero contenere acqua e non sassi e melma.
Ci sono responsabilità in questo caso sullo stato del terreno circostante al serbatoio? O sulla scelta del luogo stesso dell'impianto? Certe responsabilità potrebbero risultare pesanti, tanto più che la montagna già smottava, e che i sintomi premonitori della i grossa frana già c'erano. In tal caso, un tempestivo graduale svuotamento del bacino, un avvertimento dato alla gente del luogo, uno sgombero imposto se necessario, avrebbero evitato o limitato la sciagura. E' una lezione che si dovrà tener presente per l'avvenire.
Ora, circostanza che può avere altre conseguenze funeste, le acque del Piave corrono al mare trascinando barili di cianuro di potassio, rubati alle industrie. Il lago intanto sembra diviso in due perché là frana ha creato uno sbarramento naturale a monte di quello artificiale; il che in certo senso limita i pericoli derivanti da un susseguente temuto franamento, della montagna, mentre permetterà di accertare meglio, a suo tempo, le reali condizioni di stabilità della diga.
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