martedì 11 ottobre 2011

Bologna a basso costo

Per rimanere alle suggestioni aperte dal documentario di Gabriele Veronesi, "Modena al cubo", c'è da segnalare oggi questo bel pezzo su Linkiesta: A Bologna, infiltrato in un cantiere con i clandestini “a nero.

All'apparenza, la solita variante su una questione arcinota: in Italia il lavoro nero è un capitolo a sé nel bilancio della nostra economia. Un capitolo molto importante.
Di storie come queste se ne sono lette tante, no?

Invece il pezzo di Antonello Mangano, che racconta l'esperienza di un ricercatore padovano, Mimmo Perrotta, infiltrato in un cantiere bolognese, traccia un quadro dei meccanismi che sono a fondamento del “miracolo” dell’espansione edilizia da metà anni ’90 fino al 2008.

Ecco gli spunti più interessanti:

«È entrata la polizia». Alcuni corrono verso la sala dove ci sono gli impianti dell’aria condizionata. Paul scompare da qualche altra parte, Leonard entra in garage. Vado su, trovo Shamrez, l’operaio pakistano regolare, e gli chiedo se ha visto la macchina della polizia, lui dice di no, col solito tono disinteressato». «Tranquilli», dice il capo agli operai. «Se c’è qualcosa, vengono i carabinieri e non la polizia. E comunque non vengono neanche quelli», facendo intendere che ha delle garanzie.

Su questa paura si è costruito il “miracolo” dell’espansione edilizia da metà anni ’90 fino al 2008, quando i primi segni della crisi diventano visibili. «La legge sull'immigrazione» – ci spiega il ricercatore – «non serve a gestire i “flussi d'ingresso” ma a “regolare” il mercato del lavoro. Il risultato sono state centinaia di migliaia di braccia ricattabili, dunque a basso costo».

(...)

L’azienda paga i vantaggi della manodopera a basso costo con un imponente turnover. In Italia sono un quarto del totale degli immigrati presenti sul territorio (un milione di persone, di cui 100mila in edilizia) e sono pronti ad andar via appena concluso il progetto migratorio, quasi sempre realizzare l’investimento programmato in Romania (costruire la casa, fare studiare i figli).

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La conoscenza diretta, ovviamente, è un buon antidoto ai luoghi comuni. «Se io vivo tutti i giorni accanto a uno straniero è mio fratello, rischiamo insieme la vita e condividiamo il lavoro», ci dice un operaio di Messina impegnato nei lavori della locale autostrada. «Ma se un rumeno accetta di lavorare per un salario minore mette a rischio i diritti di tutti». La ricerca di Perrotta affronta anche questo nodo centrale e prova a smontare due luoghi comuni, uno di destra e uno di sinistra. “Vengono qui e rubano il lavoro” contrapposto a “fanno i lavori che non vogliamo più fare”.

In realtà, ci spiega il ricercatore, si tratta di un circolo vizioso per cui la legge sull’immigrazione non contrasta l’irregolarità ma la crea (è impossibile l’ingresso regolare sia la successiva regolarizzazione), con effetti devastanti sul mercato del lavoro (salari bassi, ritmi intensi, impossibilità di contrattare condizioni migliori, orari di lavoro incerti, condizioni di sicurezza drammatiche). Si creano così le condizioni che escludono i lavoratori italiani. Ci sono numeri impressionanti sull’insicurezza nei cantieri, “solo nel 2007 quaranta rumeni sono morti sul lavoro”. Ecco perché la regolarità degli stranieri è un interesse generale, soprattutto degli italiani, altrimenti il “lavoro clandestino” peggiora le condizioni di tutti.

L'esperienza di Perrotta è ora un libro pubblicato da Il Mulino: "Vite in cantiere".

Workers Boots

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